Pecore in erba, la forza dell'ironia per smascherare la realtà

di Emiliano Baglio 09/10/2015 ARTE E SPETTACOLO
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Da sei mesi Leonardo Zuliani è misteriosamente scomparso ed il mondo intero è scosso dalla perdita di un paladino dei diritti civili che con le sue lotte e le sue invenzioni ha rivoluzionato per sempre l’esistenza di milioni di persone. Perché Leonardo Zuliani ha dedicato la sua vita a ridare dignità e coraggio all’antisemitismo.

Pecore in erba di Alberto Caviglia non è un film esente da difetti ma ha dalla sua una libertà, un coraggio ed una forza satirica dirompente che non guarda in faccia a nessuno che ce lo fanno comunque amare e difendere.

Il difetto principale risiede, paradossalmente, nella forma che il regista ha deciso di dare alla sua opera prima scegliendo la via del finto documentario. Così l’intero film vede alternarsi sullo schermo interviste ad amici, familiari e conoscenti del ragazzo che ne ricostruiscono le gesta all’interno di un servizio a lui dedicato da parte di Sky Tg24. Non mancano spezzoni di interviste televisive fatte al nostro eroe da parte di Fabio Fazio e Mara Venier, così come i pareri di personaggi illustri. Scrittori come Corrado Augias e Giancarlo de Cataldo, esperti di mass media quali Carlo Freccero, giornalisti (Ferruccio De Bortoli,  Claudio Cerasa) ed ancora Elio, Vittorio Sgarbi, Enrico Mentana, Giancarlo Magalli, Kasia Smutniak, il critico cinematografico Gianni Canova ecc ecc. in un lungo elenco di celebrità nella parte di sé stessi che prendono parte al gioco al massacro messo in scena da Caviglia.

Purtroppo però alla lunga questa lunga sfilza di interviste rischia di annoiare soprattutto perché nei momenti in cui viene ricostruita la vita di Zuliani, il regista ha scelto di adottare la forma del fotoromanzo affidando la narrazione ad immagini fisse spesso commentate da una voce fuori campo. Insomma il limite maggiore di Pecore in erba sta tutto nella sua durata eccessiva a fronte di un film a tratti geniale che incrocia e fa scontrare alla perfezione linguaggi diversi.

Caviglia come già detto mescola il finto documentario con le riprese televisive, omaggia il fotoromanzo, immette scene di animazione, cita film quali American Beauty. Addirittura inserisce nel suo lungometraggio spezzoni di un finto film (Paura di odiare) ispirato alle gesta del suo eroe in uno dei corto circuiti più beffardi e feroci della sua opera. Perché Caviglia non ha paura di usare l’affilata arma dell’ironia per mettere alla berlina tutto e tutti, senza paura di farsi nemici e senza fare prigionieri.

Ecco allora che il già citato Paura di odiare colpisce duro al cuore del cinema italiano, presentandosi come l’ennesimo film sulla scia del neorealismo, rigorosamente in bianco e nero, con interpreti Margherita Buy, Vinicio Marchioni e Carolina Crescentini.

In questo gioioso tritacarne non finiscono solamente i film d’autore ma anche quelli di genere. Come ci viene infatti spiegato da Gianni Canova, il definitivo sdoganamento dell’antisemitismo, ha ridato nuova linfa ai nostri cineasti sfornando titoli quali Forni felici, In fretta e Fürher, L’usuraio licantropo (del quale ci viene anche fatto vedere uno spezzone) e persino il cinepanettone Natale a Birkenau.

Si tratta solo di uno dei molti bersagli di Caviglia il quale, tramite la vita del suo eroe, si fa beffe di tutto. Del terrorismo islamico impersonato da due attentatori imbecilli, degli stessi ebrei che, scomparso Zuliani, appaiono disperati perché nessuno sarà più capace di perseguitarli con tanta ferocia e quindi non potranno più fare le vittime.

Ovviamente anche il mondo del calcio viene tirato in ballo così come quello dell’estrema destra evocata dal movimento politico Fasci e bulloni e dal partito greco Tramonto di bronzo.

Il regista tuttavia non ha paura di affondare la sua lama anche nella sinistra italiana con il Circolo canottieri marxisti Trastevere non meno antisemiti (e soprattutto nemici giurati di Israele) dei loro presunti avversari fascisti.

Insomma Caviglia osa l’impensabile, svelare l’antisemitismo che cova a sinistra. Arriva addirittura a prendere di mira il razzismo che imperversa nella nostra società grazie alla Lega Nerd, un movimento di intellettuali che stanchi di fare professioni ben pagate come l’ingegnere nucleare rivendicano il diritto ai lavori più umili, dallo spazzino al raccoglitore di pomodori, e combattono contro gli extracomunitari che gli rubano il lavoro.

Le idee ed il coraggio non mancano, si ride, si sorride e ci si scopre a ripensare alla girandola di invenzioni messe in scena dal regista scoprendo che come spesso accade, dietro la satira si nasconde l’amara realtà dei nostri giorni.


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